Napoleone e la Veterinaria

Oggi, 5 maggio, ricorre il bicentenario della morte di Napoleone. Da più parti si discute se sia il caso di commemorare la figura dell’Imperatore, grande innovatore e allo stesso tempo chiaro esempio di un potere dispotico. In questa sede a noi preme cogliere l’occasione per ricordare il suo rapporto con la Veterinaria. A lui si deve infatti la prima regolamentazione della presenza e della funzione dei veterinari nell’Armata francese, modello che dopo la Restaurazione fu ripreso e mantenuto anche nell’Armata sarda e, dopo il 1861, nel Regno d’Italia. In Francia, un atto del 25 marzo 1776 aveva provveduto a creare la figura del maniscalco militare. Con successiva disposizione del 20 gennaio del 1794 (1 plouviôse an II), fu loro attribuito il titolo di artistes-véterinaires. Nel 1813 vennero “promossi” a marescialli veterinari in prima o in seconda. A far tempo dal 15 luglio dello stesso anno, ogni reggimento di cavalleria e battaglione di treno prevedeva nel proprio organico le due figure veterinarie. Fin dal 1802 era previsto che i corpi di cavalleria inviassero, complessivamente, 15 allievi per ciascuna delle due Scuole allora esistenti: Lione e Alfort. Merita anche ricordare come, a partire dal 1800, nell’Armata napoleonica la ferratura dei cavalli fosse regolamentata con alcuni articoli, dal 69 al 77, del decreto del 28 aprile (Arrêté dell’8 floreal an VIII).

Tutto ciò premesso, Napoleone, che disponeva di un grande numero di cavalli ad uso personale, si avvaleva anche delle prestazioni di zoojatri “liberi esercenti” nelle zone in cui si trovava durante le sue numerose campagne militari. Ne è testimonianza il caso, verificatosi dopo la battaglia di Cosseria (13 -14 aprile 1796), durante la prima Campagna d’Italia, di cui ci dà notizia il dottor Giovanni Giacomo Bonino. Commemorando il socio Giuseppe Antonio Luciano, nell’adunanza della R. Accademia d’agricoltura di Torino del 30 gennaio 1851, scrive “… allorquando, divenuto il borgo di Lesegno nell’aprile del 1796 sede del quartier generale dell’esercito capitanato da Napoleone Bonaparte, questi gli affidava [al Luciano ndr] le cure di un suo prediletto cavallo stato ferito presso il castello di Cosseria, e ne rimaneva così satisfatto, che, ricusando nobilmente il Luciano la offertagli rimunerazione, il gran Capitano, profondo conoscitore qual era degli uomini, promettevagli che avrebbe avuto cura di lui, (qu’il l’aurait soigné), qualora avesse voluto seguirlo …

Andrea Appiani, “Battaglia di Napoleone al ponte di Lodi”, 1800-1801 ca.,
Milano, Galleria d’Arte Moderna:
 modello per la seconda delle ventinove tele “I fasti di Napoleone” (dalla battaglia di Montenotte del 1796, alla vittoria di Friedland nel 1807) che furono dipinte su commissione del viceré Eugenio de Beauharnais per la decorazione della Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale (Milano) e che vennero inesorabilmente distrutte nei bombardamenti del 1943 (da: http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/2d030-00216/)

Non conosciamo la frequenza di tali episodi, ma non possiamo escludere che il ripetersi di tali evenienze abbia spinto il Bonaparte a regolamentare e dare il giusto risalto al servizio veterinario dell’Armata, in particolare durante il successivo periodo imperiale. A conferma di questo, va anche ricordato che il “modello francese” di supporto integrato alla cavalleria da parte di maniscalchi-veterinari ufficiali poté essere esteso in Italia solo dopo la costituzione del Regno d’Italia, nel 1805. Infatti, fu sicuramente anche questo uno dei motivi che portarono, in pochi anni, ad un completo riassetto delle scuole di formazione non solo militari, ma anche veterinarie, di tutto il Nord Italia: alcune sedi universitarie, come ad esempio Pavia, furono momentaneamente trasformate in Scuole Militari, sul modello di Fontainebleau; le Scuole Veterinarie “minori” furono progressivamente soppresse (Ferrara, Modena, Padova), contemporaneamente alla rifondazione della Scuola Veterinaria di Milano, che fu elevata al rango di scuola “teorico-pratica completa”, sul modello di Lione e di Alfort. Similmente a quanto già avveniva in Francia, dal 1808 anche in Italia la formazione veterinaria di quattro allievi militari, selezionati e inviati alla Scuola di Milano, era finanziata dal Ministero della Guerra. In questo ampio processo di riorganizzazione, durato alcuni anni, ebbe un ruolo importante anche Eugenio Beauharnais, viceré d’Italia, che rendicontava puntualmente all’Imperatore anche tutti i fatti (e le spese) della cavalleria nel Regno.

Sicuramente in Italia Napoleone cavalcò diversi cavalli: ne perse uno, ferito mortalmente durante la battaglia di Arcole e per il quale non fu possibile nessuna cura … ne lasciò un altro, donato al fedele Beauharnais, che soggiornò probabilmente per anni nelle scuderie della Villa Reale di Monza e che, ci piace pensare, possa esser stato curato proprio presso la Scuola Veterinaria Milanese. Era il destriero con cui, prima ancora di incontrare il celebre Marengo (e tanti altri ancora), Napoleone cavalcò tra le dune e le sabbie d’Oriente, durante la nota Campagna d’Egitto (1798-99). Alla sua morte, il suo scheletro fu preparato e conservato nel Museo Anatomico Veterinario di Milano.

Carlo Rinaldi – Ivo Zoccarato

Jean-Antoine Gros, “La battaglia delle piramidi”, 1810, Trianons Versailles

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