“Eroi silenziosi”

Ogni anno, il 4 novembre ricorre la festa dell’Esercito Italiano, la data coincide con l’anniversario della fine della I Guerra Mondiale. Il Corpo Veterinario Militare fu parte integrante di quei drammatici momenti. Furono inviati al fronte non solo gli ufficiali in servizio, ma anche molti veterinari furono richiamati in servizio, fino all’età di quarant’anni, per sopperire alle necessità belliche. Tale situazione fu comune a tutti gli eserciti belligeranti. In ogni fronte il tributo dei medici veterinari caduti fu grande se comparato al numero di ufficiali veterinari in servizio. A fianco degli uomini, enorme fu il tributo degli “eroi silenziosi”, tutti quegli animali che furono impiegati per le esigenze belliche: dai cavalli ai piccioni viaggiatori, dai muli ai cani ed, in particolari teatri operativi, i cammelli, i bufali e gli elefanti. A questi animali, grazie alla mutata sensibilità delle persone, negli anni è stato concesso il dovuto riconoscimento. Tuttavia, ve ne sono stati molti altri il cui ruolo e funzione è stato meno rimarcato e cioè quello fornire alimenti, soprattutto carne, destinati ai soldati al fronte. La logistica non era quella attuale, difficoltà di trasporto e di conservazione degli alimenti erano la norma. Gli stabilimenti militari per la produzione di carne in scatola incrementarono l’attività. Tra il 1915 ed 1918 l’Esercito Italiano consumò circa 850.000 tonnellate di carne fresca e 172 milioni di scatolette di carne (140 milioni di carne bovina, 26 di carne di maiale e 6 milioni di carni miste e circa 750.000 bottiglie di brodo concentrato di carne) (Giaccone V. et al., pp. 269-279) https://storiamedicinaveterinaria.com/wp-content/uploads/2019/11/108-2018-the-military-veterinary-services-of-the-fighting-nations-in-world-war-one.pdf . I reparti della sussistenza seguivano, nelle retrovie, quelli operativi. Questi animali ed il personale al seguito dovevano essere in grado di avanzare, ma allo stesso tempo ripiegare, in funzione degli alterni risultati dei combattimenti. Drammatica fu la situazione che si venne a creare nel momento dello sfondamento di Caporetto. Migliaia di animali vennero sacrificati e distrutti piuttosto che essere lasciati al nemico. Un’ecatombe nell’ecatombe.

Cartolina propagandistica I Guerra Mondiale (collezione privata)

I giorni del ricordo

Siamo in quel periodo dell’anno in cui, con mestizia ed un po’ di tristezza, si ricordano i cari che ci hanno lasciato. Un tempo questo sentimento era riservato alle sole persone, ma oggi non è più così e da quando gli animali, grandi o piccoli, hanno acquisito uno status affettivo consolidato anche per il medico veterinario diventa importante saper supportare, e non solo sul piano psicologico, i proprietari nel triste momento del distacco. Se un tempo poter dare degna sepoltura ad un amico a quattro zampe era un problema che pochi si ponevano oggi esistono “agenzie” che assolvono professionalmente a questo compito. I cimiteri per animali sono oramai una realtà, anche se non numerosi, in tutto il territorio nazionale. Il primo in Italia è sorto, a Roma, negli Anni 20 del secolo scorso. Negli Stati Uniti, dalla prima inusuale richiesta fatta ad un veterinario di Manhattan, nel 1896, di seppellire un cane oggi si è arrivati ad un cimitero che ospita oltre 70.000 spoglie tra cani, gatti e altri animali. Ciò che può apparire una recente acquisizione dovuta alla mutata sensibilità dei proprietari, potrebbe essere una necessità sentita fin dall’antichità. Alcuni scavi archeologici condotti nell’antica città di Berenice, sul Mar Rosso, hanno portato alla luce un’area con oltre 600 tombe prevalentemente di gatti, ma anche di cani. Tutto lascerebbe pensare ad un antico pet-cemetery di oltre 2000 anni fa, il più antico oggi conosciuto (https://www.archaeology.org/news/9507-210305-egypt-pet-cemetery).

Il Vittoriale degli Italiani
Gardone Riviera (Brescia)

Pastori in equilibrio

Un tempo la regione delle Lande, nel sud ovest della Francia, era caratterizzata da una bassa vegetazione arbustiva che periodicamente veniva bruciata dagli abitanti per favorire il ricaccio vegetativo e con esso il pascolo degli ovini. Intorno alla metà del 19° secolo si stima che in tale regione fosse presente circa un milione di pecore. I pastori, nonché abili equilibristi, per muoversi usavano lunghi trampoli; questo particolare mezzo di locomozione consentiva loro di coprire rapidamente lunghe distanze, anche su terreni fangosi, e di godere di un punto di osservazione – e quindi di sorveglianza – del gregge da una posizione sopraelevata. L’immagine che viene oggi proposta, una stampa di probabile epoca vittoriana, mostra un pastore sui trampoli intento non solo a sorvegliare il gregge, ma anche a lavorare a maglia. Un modo efficace di ottimizzare il tempo e sviluppare un’economia circolare ante litteram: trasformazione della lana per proprie necessita dirette e la vendita, o il baratto dati i tempi, dell’eventuale eccedenza di manufatti, senza trascurare il fatto che fare la maglia, ancora oggi ma forse allora non se ne preoccupavano, tiene in esercizio anche la mente.

“Si torna al piano”

In questo periodo, in tutto l’arco alpino, non è infrequente incontrare nutrite mandrie e/o greggi che ritornano al piano o alle stalle di bassa quota. Con i primi freddi gli alti pascoli diventano inospitali e non più in grado di assicurare la produzione di erba per il mantenimento degli animali. La demonticazione, che sottostà a specifiche norme di polizia veterinaria e oggi per le persone che governano gli animali anche al rispetto delle norme anti covid, un tempo avveniva esclusivamente a piedi e poteva durare anche più giorni in relazione alla distanza da percorrere, sempre al passo e con i giovani vitelli – nati nell’estate – al seguito. Oggi gli animali scendono in zone accessibili ai camion sui quali vengono caricati per proseguire il viaggio fino alla destinazione finale. Non mancano però iniziative per rendere, oggi come un tempo, la demonticazione un momento di festa e “margari” che ritornano a piedi. A ogni vacca viene fatto indossare il proprio campanaccio e quelle più belle e meritevoli spesso sono agghindate con una collana di fiori o con una ghirlanda sulle corna. La curiosità delle persone non manca mai. In un mondo che corre veloce i ritmi della monticazione e della demonticazione continuano a scandire lo scorrere delle stagioni e a perpetuare il non facile lavoro dell’uomo negli ambienti montani.

J. Duprè (1851-1910) Le retour des champs

I monumenti equestri

Nel corso degli anni, ed in particolare a ridosso delle guerre più o meno lunghe, ma sempre immani tragedie a cui l’umanità non sa sottrarsi, l’arte si è fatta carico di eternare nella memoria collettiva i condottieri e con essi gli uomini e gli animali che in tali frangenti, tragicamente, andarono incontro alla morte. Nelle piazze di molte città, nel mondo, non mancano i monumenti equestri in cui il cavallo è rappresentato in modo allegorico o di maniera. In Italia uno dei maggiori artisti che, nel primo dopoguerra, si dedicò alla realizzazione di questi monumenti, ma non solo, fu Pietro Canonica (1869-1959). Scultore affermato anche all’estero non disdegnò di dedicare una delle sue opere al mulo militare ed al suo conducente. La statua realizzata intorno al 1926-27 è posta all’interno di Villa Borghese tra quella che fu la casa dell’artista e l’antistante Piazza di Siena. Sono molti i monumenti che ricordano l’umile eroe, con cui non pochi giovani ufficiali veterinari di prima nomina si sono dovuti cimentare, ma certamente questo è tra i più noti e visitati, non solo dai romani. La sua collocazione in prossimità di Piazza di Spagna, tempio dell’equitazione, ne favorisce infatti la visita da parte di un folto pubblico.

Il latte e l’espansione umana

Un recente articolo apparso su Science

https://www.science.org/content/article/milk-fueled-bronze-age-expansion-eastern-cowboys-europe?utm_campaign=news_daily_2021-09-15&et_rid=677375620&et_cid=3921081&

mette in evidenza come oltre 5000 anni fa le popolazioni nomadi cominciarono a spostarsi dai territori dell’attuale Russia ed Ucraina diffondendosi nell’arco di alcune centinaia di anni in ogni direzione.

Uno studio condotto sui reperti della placca dentale rinvenuta su 56 scheletri portati alla luce in una dozzina di siti archeologici ha messo in evidenza come la dieta di queste popolazioni fosse ricca di proteine del latte vaccino ed ovi-caprino. Tali reperti sono stati datati come posteriori al 3300 a.C.; prima di allora, altri studi condotti su resti di popolazioni vissute nell’area del Volga e del Don non avevano mai evidenziato tali profili proteici, ma solamente di origine carnea: pesci e selvaggina e raramente di ruminanti domestici.

Il consumo di latte, analogamente all’invenzione del carro e alla domesticazione del cavallo si sta rivelando quindi un altrettanto importante elemento dell’espansione umana che avrebbe permesso alle popolazioni di spostarsi più agevolmente rendendo il vincolo della caccia meno stringente. Possiamo quindi immaginare che con questo cambiamento di abitudini alimentari abbiano cominciato a farsi strada i primi rudimenti dell’allevamento bovino ed ovicaprino e la manualità della mungitura.

I cani e l’11 settembre

Ieri sono state commemorate le persone che hanno perso la vita nell’attentato alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001. Ancora una volta ci si ritrova a dover ricordare un tragico evento, e non sono pochi, che semmai ve ne fosse bisogno sottolinea la totale incapacità dell’essere umano a ricomporre dissidi e conflitti usando la ragionevolezza e la mediazione, piuttosto che la forza.

Nell’attentato i cani da soccorso hanno, purtroppo, ancora una volta messo in luce la loro abnegazione e fedeltà all’uomo. Il Dog Museum dell’American Kennel Club al 101 Park Ave, New York, ha di recente allestito una mostra per ricordare tutti i cani soccorritori che intervennero in quel frangente; noi ci permettiamo di ricordare anche quei “fedeli amici”, sfuggiti alle statistiche, che perirono nel crollo delle torri e, probabilmente, per le conseguenze dello stesso nei giorni che seguirono.

Numerosi, aldilà dell’11 settembre, sono gli episodi – nel tempo – in cui i cani si sono distinti e anche a loro va un doveroso tributo. Impossibile elencarli uno per uno, ma a titolo d’esempio ci piace ricordare Camilla, una femmina border collie del gruppo cinofilo dei pompieri, che si era distinta nei soccorsi durante il terremoto del 2016 in centro Italia. Ha trovato la morte, in servizio, l’anno successivo cercando di prestare soccorso ad una persona dispersa nei boschi del savonese, ma non possiamo nemmeno dimenticare il pastore tedesco Akil, della polizia tunisina, e la femmina di pastore belga Diesel, della polizia francese, entrambi caduti, nel 2015, nel corso di blitz antiterroristici: il primo a Tunisi al Museo del Bardo e la seconda durante un conflitto a fuoco a San Denis.

Quale tributo a tutti i cani che a vario titolo hanno prestato e prestano “servizio” proponiamo l’immagine del monumento che i volontari della protezione civile di Ghedi (BS) hanno fatto erigere alcuni anni orsono nella loro cittadina.

La Federazione Veterinaria Italiana sul Lago di Como

Nel settembre del 1891, si tennero le celebrazioni per il primo centenario della Scuola veterinaria di Milano, fu anche l’occasione per ufficializzare la fondazione della Federazione Veterinaria Italiana. La Federazione, così come dichiarato all’articolo 2 dello statuto aveva lo scopo «di contribuire al progresso della scienza, di tutelare gli interessi morali e materiali dei veterinari, e di promuovere ed ottenere il loro miglioramento».

Alla stesura dello statuto avevano contribuito i rappresentanti delle varie Società regionali allora esistenti. Da un articolo apparso su Il Moderno Zooiatro del 10 settembre 1891, apprendiamo che «Dal piroscafo Elvezia della Società Lariana, il sette settembre 1891, in vista di Bellagio, sul Lago di Como, in seguito alle deliberazioni dei rappresentanti le varie Società Veterinarie Italiane, che aderirono alla gentile e nobile proposta della Società Veterinaria Piemontese, si acclama costituita la Federazione Veterinaria Italiana; ed in segno, non solo di accettazione, ma ancora di plauso a questo nuovo patto di fratellanza e di solidarietà dei Zooiatri italiani, i sottoscritti appongono le loro firme a solenne conferma di un fatto, a cui sarà indissolubilmente legato il glorioso avvenire del ceto veterinario».

A ricordo di quell’importante evento proponiamo, per gentile concessione, una immagine di inizio ’900 dell’Elvezia.

“collezione Foto Vasconi”

Giornata del cane

Il cane, fedele amico e servitore dell’uomo, è certamente tra gli animali più rappresentati nell’arte. Dalle statue egizie ai mosaici romani ai dipinti contemporanei. Sempre raffigurato nell’adempiere alle molteplici attività che, instancabilmente, svolge a favore dell’uomo: dalla caccia alla compagnia, accoccolato sul tappeto accanto ai bambini piuttosto che ai piedi del padrone o, ancora, a guidare e difendere il gregge. Tra i compiti del cane, a cui – ogni anno – è dedicata la giornata del 26 agosto, ve ne sono anche alcuni particolarmente complessi come quelli dei cani impiegati nelle missioni militari e nelle attività di emergenza a seguito di eventi catastrofici. Un inseparabile ed insuperabile compagno di lavoro che sa adattarsi alle situazioni più diverse. Ai cani dedichiamo un’immagine d’altri tempi che li ritrae tranquilli al lavoro, insieme a delle bambine e ad un ragazzino, intenti a sorvegliare le oche al pascolo, ma senza perdere d’occhio i bambini… e perché no? anche a farsi coccolare

The geese girls, Otto Weber, 1832-1888 (http://www.wikigallery.org/)