Musica e mascalcia

Per chi conosce la Città di Pinerolo, vicino a Torino, non è difficile immaginare come il visitatore che, sul finire dell’Ottocento ma anche dopo, vi giungeva in treno nella piccola stazione liberty potesse rimanere affascinato dal tintinnio che avvolgeva l’atmosfera. Poco distante dalla stazione, in viale Mamiani, sorgeva infatti la Scuola di Mascalcia militare ed il ritmico tintinnio altro non era che il suono dei martelli sulle incudini con le quali gli allievi sottufficiali si esercitavano a forgiare i ferri per i cavalli. Un vero e proprio concerto di incudini.

Se l’immagine di cui sopra, idilliaca certamente, può apparire eccessiva, nel variegato repertorio della musica classica non manca un brano in cui martelli ed incudine trovano spazio al pari degli altri, assai più blasonati, strumenti musicali. Si tratta della Feuerfest polka (Polka française op. 269) di Joseph Strauss che molto spesso viene eseguita nel concerto di Capodanno in molti teatri. L’autore, figlio di Johann Strauss (padre) e fratello dell’altrettanto famoso Johann Strauss (fratello) pur essendo un ingegnere, appartenendo alla famosa famiglia di compositori, trovò modo di comporre numerosi brani e tra questi la Feuerfest polka. Il brano, oggi lo si definirebbe un jingle pubblicitario, fu scritto per un festeggiare la ventimillesima cassaforte in ferro di una ditta viennese. La presenza di una incudine nell’orchestra è un omaggio al mestiere del fabbro. Inoltre, ci piace fare riferimento ad una nota biografica di un altro grande compositore austriaco: Franz Joseph Haydin. Il compositore, annoverato tra i padri della sinfonia, era figlio di un fabbro carradore, secondo alcuni un maniscalco, che forgiava in un piccolo centro rurale. All’epoca i fabbri, nei piccoli centri, svolgevano sicuramente entrambe i lavori. Certamente Haydin durante la sua infanzia non ebbe a ferrare cavalli e tantomeno “cerchiare” le ruote dei carri, ma ci fa piacere immaginarlo seduto ad ascoltare il tintinnio del martello sulla incudine, mentre il padre preparava il ferro per qualche cavallo del paese ed infine come non ricordare Lindoro nella bellissima aria del Barbiere di Siviglia “… sono anch’io dottore, maniscalco al reggimento …”

Tarmeño Fernández Villalba – https://br.pinterest.com/pin/74239093837668570/





15 agosto festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

Con l’immagine di oggi desideriamo celebrare la festa dell’Assunzione della Beata vergine Maria richiamando alla memoria un’antica tradizione. Forse qualcuno si starà domandando quale è il legame con la medicina veterinaria, si tratta di un legame antico quasi dimenticato e sconosciuto ai più, anche a molti dei laureati in medicina veterinaria torinesi, che risale alle origini della Scuola quando aveva sede in Venaria. La Regia Scuola Veterinaria di Torino ha per patrona la Madonna dell’Assunta (15 agosto). In quegli anni in cui rare erano le occasioni di festa questo era uno dei pochi giorni nei quali le attività didattiche venivano interrotte. A tutti un sereno Ferragosto 2021!!

Pinturicchio, Assunzione della Vergine della Cappella Basso della Rovere (fine XV secolo) https://it.wikipedia.org/wiki/

L’arte a supporto della zootecnia

Fino all’avvento della fotografia, prima in bianco e nero e poi a colori, i veterinari che si occupavano di razze animali avevano ben pochi strumenti per tramandare le caratteristiche morfologiche degli stessi se non la trascrizione su carta della descrizione verbale. Per classificare le razze oltre ad alcuni punti di riferimento come il portamento delle orecchie, in alto o piegate in basso o in avanti, la forma delle corna – se presenti – che potevano essere rivolte in avanti in alto o in basso e assumere forme anche diverse come quelle a lira; si usava descrivere il colore del mantello facendo riferimento agli esempi offerti dalla natura e che potevano essere, più o meno, noti a tutti: ad esempio il colore fromentino -come il grano maturo- oppure del grigio sorcino tipico del topo. Innanzi a queste oggettive difficoltà il disegno e la pittura costituivano un ottimo strumento descrittivo a supporto dello zootecnico per la descrizione delle razze. Certo la stampa a colori non era ancora diffusa, men che meno economica; bisognerà attendere ancora molti anni prima che questa tecnica divenisse alla portata di tutti gli editori e, là dove qualcuno poteva anche anticipare i tempi, le immagini a colori erano ancora la riproduzione di disegni dipinti. A questi, molto spesso ignoti artisti, va il merito di aver tramandato fino a noi i riferimenti descrittivi di razze che altrimenti sarebbero andati persi. L’immagine che viene proposta oggi esemplifica perfettamente quanto sopra esposto. Si tratta di un disegno che rappresenta una vacca di razza pezzata rossa di Carhaix, una razza che tra il 1860 ed il secondo dopoguerra era ampiamente diffusa nel centro della Bretagna. Oggi questa razza è scomparsa.

© Fonds Philippe J. Dubois

I cavalli e le variazioni climatiche

Da un trafiletto apparso sul Monitore Industriale Italiano il 13 settembre 1883 apprendiamo come l’andamento climatico, estremamente variabile in quell’anno, avesse influenzato negativamente la stagione riproduttiva dei cavalli. L’inizio della stagione di monta era stato caratterizzato da un brusco calo delle temperature. … Molto frequenti nel bestiame cavallino furono i casi di bronchite, di pleurite e di febbre da influenza palustre (malaria), e numerosi gli aborti, specialmente nella campagna romana ed in quelle località dove predomina lo stesso sistema d’allevamento. Nemmeno gli animali mantenuti in condizioni di stabulazione furono risparmiati da queste condizioni meteorologiche avverse … Anche gli stalloni dei depositi governativi, quantunque trattati e mantenuti colle maggiori cautele, ebbero a soffrire dei repentini e persistenti abbassamenti atmosferici; tanto che a numerose malattie di lunga durata e che condannarono alla inoperosità nove stalloni per tutta la stagione di monta, si ebbe a lamentare dal 1 di gennaio al 15 di luglio, termine della stagione di monta ordinaria, la perdita di sei riproduttori; mentreché nello stesso periodo del 1882 le malattie furono molto meno frequenti ed i decessi arrivarono al numero di quattro. Altri tempi e i medici veterinari non disponevano certamente di tutto l’armamentario farmaceutico odierno, ma ieri come oggi gli animali subiscono gli effetti deleteri della variabilità climatica e se allora era il freddo oggi sembra essere il riscaldamento globale a generare problemi.

Il quadro di oggi riproduce il tipico ambiente maremmano che viene richiamato all’inizio dell’articoletto di cui sopra.

Luigi Gioli – Gruppo di cavalli (Cavalli maremmani) 1890 (?) Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, Novara, Italia

Il murales che non ti aspetti

Talvolta, può accadere di imbattersi in un qualcosa che non ti aspetti e la sorpresa è sicuramente grande. Si può rimanere stupiti soprattutto quando ciò che si vede è l’omaggio ad un’arte antica come quella della mascalcia. L’artista, poco importa se famoso o meno, ha riprodotto una scena di vita frequente ad inizio ’900 nelle campagne: la bottega del maniscalco. Attività diffusa fin verso la fine degli Anni 60 del secolo scorso, oggi il maniscalco lo si incontra solo nei maneggi e negli ippodromi. Contrariamente a ciò che succedeva un tempo non è più il cavallo ad essere condotto nella bottega, dove il ferro veniva forgiato a caldo e realizzato su misura. Oggi il maniscalco viaggia a bordo di un’officina mobile attrezzata di tutto punto per potersi spostare da un cliente all’altro continuando però a praticare un mestiere antico. Forse ad alcuni può apparire come un saper fare superato dall’evoluzione tecnologica, ma alla base dell’arte del ferrare sta la capacità del maniscalco di discernere quale sia la ferratura più idonea per l’equide che gli viene presentato e quale sia la miglior tecnica per realizzarla. Tale capacità si acquisisce solo attraverso un percorso formativo che coniuga le conoscenze teoriche e la capacità di osservazione dell’animale alla manualità della realizzazione del ferro. L’immagine di oggi è un doveroso omaggio a quanti apprendono e tramandano la mascalcia.

Ricordi di viaggio (Lussan – Gard – Francia ) foto di G. Meneguz

La razza Maremmana

Oggi, in zootecnia il concetto di razza non ha più l’importanza di un tempo, l’evoluzione che gli animali hanno avuto dal punto di vista del miglioramento genetico si basa soprattutto sulla ricerca, ed il miglioramento, dei caratteri produttivi quanti-qualitativi. In tal senso, poco importa quale sia la razza di appartenenza. Vi sono tuttavia delle razze che sono entrate, per varie ragioni, nell’immaginario collettivo: la razza bovina Maremmana è sicuramente tra queste. Tipica della Maremma grossetana e laziale è una razza con scarsa attitudine alla produzione lattea e della carne che trovava la sua massima espressione nella produzione del lavoro, ottimi infatti erano i buoi che se ne ottenevano. La caratteristica che più colpisce è il portamento delle corna, lunghe e portate a lira nella femmina, mentre nel maschio il portamento è a mezzaluna. Il colore del mantello è grigio, con il contorno degli occhi grigio scuro come anche l’orlo delle orecchie e la punta della coda. Razza, robusta e frugale, che ben si adattava agli ambienti maremmani. Oggi ha perso molta della sua importanza rispetto ad un tempo, tuttavia continua a mantenere un ruolo primario nel contesto ambientale maremmano e nella sua conservazione. Infatti, è allevata quasi esclusivamente allo stato brado ed è governata dai butteri a cavallo secondo un sistema totalmente estensivo. Oggi la razza conta su un numero di capi limitato ragion per cui particolare attenzione è posta alla sua conservazione.

L’ambiente maremmano è stato un tema particolarmente caro a Giovanni Fattori che, nelle sue opere, ha più volte immortalato questa razza di bovini.

G. Fattori, Mandrie maremmane, 1893 – Museo civico G. Fattori (Livorno)

Corsi per Veterinari e Maniscalchi presso la Scuola di Pinerolo – titoli di coda …

A chiusura di questo impegnativo lavoro di recupero e digitalizzazione del materiale fotografico relativo ai Corsi AUC Vet e dei sottoufficiali maniscalchi è necessaria una considerazione ed alcuni ringraziamenti.

La considerazione nasce dalla constatazione che la Storia della Veterinaria e della Mascalcia militare è indissolubilmente legata alla Storia della Veterinaria e non solo nelle origini delle prime scuole. Se “l’internauta” avrà tempo e curiosità di scorrere le immagini si renderà conto che l’esperienza militare ha rappresentato per moltissimi veterinari, tra cui anche numerosi futuri docenti universitari, ricercatori di Istituti Zooprofilattici, dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale e liberi professionisti il primo banco di prova e di assunzione di responsabilità professionale in prima persona. Non si tratta di ricordare i bei tempi passati, spesso frutto di una cattiva memoria, ma di conoscere il passato della nostra storia per meglio affrontare il nuovo che avanza.

Per quanto ai ringraziamenti il primo va al Gen. Giovanni Graglia, nostro socio, che con passione, pazienza e perseveranza ha digitalizzato tutto il materiale fotografico e documentale. Per gli altri ringraziamenti si ripropone la foto ricordo dell’ultimo corso AUC svolto presso la Scuola di Pinerolo.

Gli Ufficiali ed i Sottufficiali della foto sono i superstiti del travagliato anno di chiusura, sopravvissuti alla prevedibile destabilizzazione e diaspora che consegue a cambiamenti di questa portata e che in quella situazione fu epocale . Erano giovani di età e di grado, ma animati da un entusiasmo ed una determinazione ineguagliabili. A loro va la nostra ammirazione e riconoscenza.

Hanno permesso all’Ente di assolvere con dignità i suoi compiti istituzionali fino all’ultimo giorno e di ricominciare nelle nuove sedi che furono: Torino, per il Neasmi, con il Cap. Marco Bernardoni e Grosseto, per gli AUC e la Mascalcia, con il Magg. Alessandro Sericola, il Mar. Prisco Martucci ed il Mar. Giuseppe Pamelia.

Per certi versi fu come perdere la casa

La Scuola di Mascalcia militare: i Maestri maniscalchi

Agli istruttori della Scuola va il merito di aver saputo sviluppare, conservare e diffondere il metodo di ferratura di scuola italiana. Ciò che oggi può apparire superato dall’evoluzione tecnologica, che l’industria mette a disposizione, in realtà non lo è. Alla base del metodo sta la capacità del maniscalco di discernere quale sia la ferratura più idonea per l’equide che gli viene presentato e quale sia la miglior tecnica per realizzarla. Tale capacità si acquisisce solo attraverso un percorso formativo che coniuga le conoscenze teoriche e la capacità di osservazione dell’animale alla manualità della realizzazione del ferro. Dal 1879, anno di fondazione della Scuola, gli Istruttori che si sono susseguiti, 8 in tutto in pratica uno ogni 17 anni circa e ciò non per inamovibilità d’ufficio, ma per la capacità di infondere ai più giovani le conoscenze accumulate con l’esperienza nel tempo, hanno saputo preservare questo saper fare. A loro va un doveroso plauso e riconoscimento.

Allo stesso modo non vanno dimenticati anche coloro i quali hanno saputo mantenere alta la tradizione del metodo di ferratura italiana nella quotidiana attività di servizio, divenendo a loro volta pietre miliari della scuola italiana di mascalcia e tra questi: Francesco La Torracca, in servizio presso un reggimento di Cavalleria a Santa Maria Capua Vetere. Il Cav. Giuseppe Molino, capo maniscalco istruttore presso la Scuola veterinaria di Napoli. Bernardino di Nanni, sottufficiale maniscalco della squadra dei cavalieri da concorso ippico della Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Salvatore Germano, sottufficiale maniscalco presso la Scuola militare di equitazione di Monte Libretti e del reggimento Carabinieri a cavallo e partecipò a ben 8 Olimpiadi come maniscalco della squadra italiana (Londra 1948, Helsinki 1952, Melbourne 1956, Roma 1960, Tokyo 1964, Città del Messico 1968, Monaco di Baviera 1972 e infine Montréal 1976). Adico Tredici, Primo e Davide Casavecchia maniscalchi a Tor di Valle. Camillo Iannelli maniscalco ad Agnano. Angelo Lipreri, maniscalco della scuderia di Graziano Mancinelli.

Corsi per Ufficiali Veterinari e Maniscalchi – i corsi continuano a Grosseto…

La carrellata fotografica sui corsi per Ufficiali Veterinari di Complemento di Pinerolo si conclude con un breve sconfinamento su Grosseto, dove il 1° settembre 1996, sulle “ceneri” della Scuola di Pinerolo e del Centro Allevamento e Rifornimento Quadrupedi di Grosseto. si costituisce il Centro Militare Veterinario (CEMIVET) che tra le varie competenze accorpa anche quelle di formazione per gli Ufficiali Veterinari di complemento e per i sottufficiali maniscalchi.

I corsi AUC veterinari si svolgono in Maremma per due anni esatti: il primo inizia già l’8 ottobre 1996. L’ultimo si conclude il 28 luglio 1998. Riprenderanno a settembre 1998 a Roma Cecchignola nella neocostituita Scuola di Sanità e Veterinaria Militare.

Anche i corsi per Maniscalchi Civili riprendono senza soluzione di continuità grazie principalmente alla capacità organizzativa e tecnica dell’Istruttore, Maresciallo Prisco Martucci.

Saranno 21 corsi, dal 16 settembre 1996 al luglio 2017, momento in cui i corsi per sottoufficiali maniscalchi cessano definitivamente.

Corsi per Maniscalchi presso la Scuola di Pinerolo – maniscalchi civili.

Verso l’inizio degli anni ottanta la Scuola, che aveva mantenuto intatto il suo patrimonio didattico, umano e strutturale, nel settore della mascalcia – durante tutta una generazione che aveva rimosso il cavallo e le attività ad esso connesse – ha intuito l’esigenza di formare le nuove leve di maniscalchi anche per il Paese, essendo venuta a mancare l’unica forma di trasmissione di questa professione artigiana, fondamentale per il mondo ippico: l’apprendistato nella bottega del maniscalco anziano.

Per tale ragione ha aperto i suoi corsi agli allievi civili.

Anche questo corso, similmente a quello previsto per i Sottufficiali Maniscalchi, ha la durata di un anno e periodicità annuale.

Gli aspiranti, segnalati dagli Enti Ippici Nazionali – principalmente l’UNIRE – si sottopongono ad una prova di ammissione da cui escono i dieci allievi che seguiranno il corso di specializzazione.

Sono ammessi a fruire – a pagamento – di vitto ed alloggio in caserma: le spese sono normalmente rifuse dagli Enti sponsor.

Dal 1980 al 31 agosto 1996, data di chiusura dell’Ente, si susseguono 12 corsi, con 92 specializzati.